
Il primo dei due quesiti referendari riguarda l’abrogazione dell’articolo 23bis della legge 133 del 2008. Questo stabilisce che la gestione del sistema idrico nazionale venga affidato a soggetti privati o a società a capitale misto in cui il privato detenga comunque il 40percento del pacchetto azionario. Il secondo quesito invece riguarda la possibilità da parte del gestore privato di accumulare profitti sull’acqua. Infatti la norma che si intende abrogare prevede la possibilità, da parte del gestore privato, di caricare la bolletta dei cittadini del 7percento in più rispetto alla tariffa, senza nessun obbligo di reinvestimento e dunque per una ovvia quanto scandalosa mira di profitto personale. I fallimenti della gestione privata dell’acqua e i danni alla collettività sono stati già ampiamente dimostrati dall’esperienza recente. Non possiamo dimenticarci del caso di Aprilia e di altri 38 comuni della provincia di Latina, dove nel 2004 l’acqua pubblica finì sotto le mani della multinazionale francese Veolia. Il risultato fu un aumento spropositato delle bollette (dal 50 al 330percento). Tale Veolia che non a caso è uno dei soggetti economici più interessati a una scelta di gestione dell’acqua in direzione privatistica e che conta già oggi su diverse società specializzate dislocate sul territorio italiano. Insieme a questa ci sono decine di altre aziende che potrebbero accumulare profitti enormi nel caso si intraprenda una strada del genere; aziende che sicuramente - va precisato - non si demoralizzeranno di fronte ad una buona riuscita del referendum e che continueranno a lottare incessantemente perché il loro profitto prevalga sulla volontà popolare.
Di fronte a questa situazione appare chiaro come il referendum per quanto importante non può, per sua stessa natura, rappresentare pienamente gli interessi delle masse popolari in quanto non è certo un voto che può fermare l’interesse economico di queste grandi multinazionali ma solo una lotta vincente nelle piazze. E questo vale per l’acqua come per il nucleare, sul quale già ci siamo soffermati in articoli precedenti.
Di fronte all’ipocrisia delle posizioni appena descritte, il Partito di Alternativa Comunista, ancora una volta, sceglie un’altra strada: una strada dei lavoratori per i lavoratori, una strada realmente democratica, realmente opposta agli interessi di multinazionali e partiti borghesi. La nostra strada si costruisce nella e attraverso la lotta e ha come obiettivo un’autentica gestione dell’acqua pubblica. Una gestione che noi riteniamo debba essere affidata direttamente nelle mani di lavoratori affinché non predominino gli interessi borghesi ma piuttosto gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. Allo stesso tempo pensiamo che una vittoria del Sì ai referendum possa costituire un buon viatico per proseguire la lotta e per questo riteniamo opportuno votare al referendum e per l’abrogazione dei già descritti decreti sulla privatizzazione dell’acqua e per l’eliminazione di qualsivoglia possibilità di un ritorno all’energia nucleare. Ricordando, su quest'ultimo punto, che la strada per riaprire le centrali è stata riaperta a Berlusconi dal precedente governo Prodi, nel silenzio della sinistra governista (che all'epoca stava al governo) che ora fa la voce grossa.