Nei giorni 11 e 12 gennaio si sono riuniti nella Reggia di Caserta 25 ministri, 7 segretari di partiti dell'Unione, oltre al premier Romano Prodi e al sottosegretario Enrico Letta.
L'evento è stato preceduto da un'intervista del segretario Ds, Piero Fassino, a La Repubblica del 7 gennaio in cui chiedeva al vertice di Caserta un segnale chiaro: "un colpo d'ala, un salto di qualità. Nei prossimi cinque mesi cruciali". Ma negli incontri che hanno preceduto il vertice emerge da un lato la preoccupazione degli esponenti della sinistra di governo per i fischi degli operai di Mirafiori rivolti ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil (ma anche a Bertinotti malgrado l'assenza), in dissenso proprio sulla manovra finanziaria e la riforma delle pensioni; dall'altro lo scontro tra gli azionisti del Partito democratico rispetto a chi deve gestire l'attacco ai lavoratori e alle masse popolari. Il tutto sullo sfondo delle elezioni amministrative di primavera prossima.
Nel gioco delle parti si sono alternati i segretari e i ministri della sinistra di governo (Prc, Pdci, Verdi), quindi gli esponenti del centro liberale (Ds, Dl...).
Il segretario di Rifondazione comunista, Franco Giordano, apprezza soddisfatto l'accento posto da Prodi sul programma, "perché è ciò che ci tiene uniti", sulla stessa linea si è mosso il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto. Da parte sua il segretario de Ds, Pietro Fassino, corregge in "determinazione ad andare avanti" il precedente "riforme o morte".
Il primo atto è infine terminato con l'acquisizione del programma come unica bussola del governo.
Il secondo atto ha visto invece uno scontro tutto interno agli azionisti del Partito democratico, il segretario dei Dl, Francesco Rutelli, non era disponibile al fatto che i Ds, in tema di liberalizzazioni, si appropriassero per la seconda volta di un tema che considera anche suo. Da qui la brusca frenata che subiva, seppur per pochi giorni, il secondo pacchetto del ministro Bersani (Ds). Il ruolo di guastatrice è stato assunto dal ministro per gli Affari regionali, Linda Lanzillotta (Dl), che ha chiesto, sostenuta da Rutelli, che prima del pacchetto Bersani fosse approvato il suo ddl sulla privatizzazione dei servizi pubblici essenziali.
Alla fine si perviene ad un accordo onorevole: il pacchettone, con dentro le misure di Bersani e quelle della Lanzillotta, sarà gestito da una "cabina di regia" a Palazzo Chigi. Il regista sarà Letta che ha subito rilanciato inserendo nel fardello le misure per la pubblica amministrazione. Nel frattempo Bersani presenta il quadro di interventi per le infrastrutture nel Mezzogiorno, che nelle intenzioni del governo dovrebbe diventare la porta d'accesso per l'ingresso nel mercato europeo delle merci provenienti dall'Asia e dalle coste del Mediterraneo.
Mentre Bersani promette di andare avanti "come un treno" sulle liberalizzazioni, il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Fioroni, presenta a Caserta un nuovo programma di finanziamento per le scuole pubbliche: equiparate alle Fondazioni. Le imprese, le banche potranno finanziare le scuole pubbliche di ogni ordine e grado ed entrare nei comitati esecutivi per gestire i fondi. L'autonomia scolastica, divenuta anche economica con l'ultima Finanziaria, arriva alla sua logica conclusione: la scuola-azienda in competizione con altri istituti e dipendente dai poteri economici del territorio. Un'operazione del tutto simile a quanto avviene nella sanità pubblica, con il sostegno politico del ministro Livia Turco (Ds), con l'ingresso di imprenditori e banche sotto forma di leasing, comodati d'uso e project financing nella progettazione e nella gestione degli ospedali.
Del resto il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, dopo aver ricordato l'elevato costo del lavoro e la sua bassa produttività, ha chiesto l'attuazione della Finanziaria in tutte le sue parti, per questo servono 414 atti, tra decreti e circolari. Il primato degli atti spetta proprio a Padoa-Scioppa, segue Pier Luigi Bersani e Cesare Damiano. Sono previsti interventi di liberalizzazione nei settori dei trasporti, elettricità, gas e poste, ma l'obiettivo del governo è quello di permettere l'apertura di una impresa in un solo giorno, eliminando lacci e laccioli rappresentati dai controlli preventivi della pubblica amministrazione. Nel contempo per i lavoratori sono previsti cinque anni di apprendistato. Da parte sua il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha voluto ricordare in una sua intervista a l'Unità del 15 gennaio che sulle pensioni si va avanti come previsto dagli accordi con i sindacati concertativi: innalzamento dell'età pensionabile e revisione dei coefficienti, riducendo gli assegni pensionistici del 6-8%. Su questo tema il ministro della Funzione Pubblica, Luigi Nicolais, ha annunciato per le prossime settimane un decreto per l'avvio dei Fondi pensione anche nel settore pubblico utilizzando col silenzio-assenso, come avviene da inizio anno nel settore privato, il Tfr dei lavoratori pubblici.
Altro punto centrale è la lotta contro le privatizzazioni dei servizi pubblici essenziali, dei trasporti e delle poste, di aziende come Alitalia, Tirrenia e Fincantieri, rilanciando nel corso stesso della lotta nei sindacati, nei comitati degli utenti, tra i lavoratori la rivendicazione della nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio, delle aziende colpite.
Infine sul terreno della politica più strettamente sindacale i militanti sindacali del PdAC non solo saranno impegnati nel contrastare il Patto per la produttività proposto dal padronato, ma anche per superare l'attuale atteggiamento di pressione ma non di opposizione al governo da parte di larghi settori della sinistra sindacale. Il Partito di Alternativa Comunista ritiene infatti che solo la costruzione di una vertenza unificante, sulla base di una piattaforma sindacale di fase, sostenuta dallo sciopero generale, contro il governo e il padronato, può resistere all'attacco in atto. Strettamente combinata alla lotta contro la politica sociale ed economica del governo è la nostra opposizione all'imperialismo, a partire da quello italiano, nel quadro del rilancio dell'internazionalismo proletario. Una lotta che coglie nella richiesta di chiusura delle basi Nato e nel ritiro dei militari italiani dall'Afghanistan, dal Libano e da tutti i Paesi in cui sono presenti, una sintesi rivendicativa immediata.