12 marzo, Costituzione-day: noi non ci saremo
POPOLO VIOLA O POPOLO ROSSO?
Perché i comunisti non difendono la Costituzione e
si battono per un'altra democrazia
di Francesco Ricci
Niente bandiere, hanno
dichiarato gli organizzatori, si sventoleranno solo copie della Costituzione,
il testo fondamentale della repubblica basata sullo sfruttamento del lavoro
salariato. Come è evidente, sulla manifestazione sventolerà, per quanto
invisibile, la bandiera dell'alternanza borghese a Berlusconi.
A differenza della sinistra
governista (Rifondazione e Sel di Vendola, ma hanno annunciato la
partecipazione anche gruppi sedicentemente "rivoluzionari")
Alternativa Comunista non aderisce.
Primo, non ci accoderemo a
Bersani e Fini perché pensiamo che i lavoratori e i giovani abbiano bisogno di costruire
nuove mobilitazioni e scioperi (per questo partecipiamo allo sciopero promosso
da Usb per venerdì 11, cui chiaramente non aderisce invece la gran parte delle
forze che promuove il Costituzione Day) ma nella piena indipendenza
dall'opposizione di banchieri e industriali.
Vogliamo cacciare Berlusconi
con la piazza, come hanno fatto le masse nelle rivoluzioni di Tunisia ed Egitto
e come stanno cercando di fare in Libia. E, a differenza di Bersani e Vendola,
non vogliamo che a sostituire Berlusconi arrivi un altro governo
confindustriale, magari con un'immagine più presentabile dell'attuale governo e
dunque più capace (questo almeno sperano industriali e banchieri) di scaricare
la crisi capitalistica sulle spalle degli operai. Berlusconi va cacciato e
subito ma per un'alternativa dei lavoratori. Per questo ci battiamo per un
grande sciopero generale unitario e prolungato che paralizzi il Paese.
Secondo, non riteniamo che la Costituzione borghese
possa rappresentare il programma di lotta su cui chiamare in piazza i
lavoratori. Per spiegare e argomentare perché i comunisti non possono difendere
la Costituzione
ripubblichiamo qui sotto un articolo già comparso qualche mese fa sul nostro
giornale, Progetto Comunista.
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La corruzione sempre più
evidente (gli scandali ormai quotidiani) dei partiti dell'alternanza borghese (col
berlusconismo, in particolare, ad incarnare l'intreccio tra affari, politica e
delinquenza organizzata); la crisi contestuale dei partiti della sinistra
riformista (cioè della sinistra orientata alla collaborazione di classe e,
quando possibile, di governo con la borghesia) che per anni hanno occupato la
scena: ecco i due elementi che stanno facendo la fortuna di forze che appaiono
al contempo schierate contro la corruzione ed estranee alla politica
compromissoria della sinistra. Di qui i successi elettorali ed editoriali dei
vari Grillo, Santoro, Travaglio e di Di Pietro e De Magistris, Movimento Cinque
Stelle, Popolo Viola, ecc.
Uno dei temi ricorrenti in
questo ambito politico è il richiamo alla Costituzione repubblicana, contro
l'evidente disprezzo di leggi e magistrati professato da Berlusconi che,
accentuando alcuni tratti presidenzialisti o perfino direttamente bonapartisti,
si presenta come al di sopra degli apparati e delle leggi dello Stato, al di
sopra di norme e impedimenti, della burocrazia statale, pretendendo di derivare
il suo potere direttamente dall'investitura popolare.
Il carattere tipico di queste
aree politiche e movimenti, oggi denominati "popolo viola", è
l'interclassismo e il porsi come estranei ai due poli dell'alternanza: pur
mirando a svolgere un ruolo di pungolo critico verso lo schieramento di
centrosinistra e il Pd, per forzarne la battaglia anti-berlusconiana,
rifiutando quella linea di collaborazione (bipartisan) tra i partiti borghesi
che è invece invocata dalla gran parte della borghesia e dalla sua stampa di
fronte alla crisi economica del capitalismo.
Lo sventolio della bandiera
della "legalità", la difesa della "divisione dei poteri" e
di una presunta "indipendenza della magistratura", il richiamo alla
Costituzione, nascono da qui. E stanno facendo breccia anche tra tanti
attivisti e militanti delle organizzazioni della sinistra. Ciò che è favorito
dalla rimozione di ogni cultura classista da queste organizzazioni. La
rimozione sistematica dei concetti fondamentali del marxismo relativi allo
Stato e alla sua natura di classe (e anzi la cancellazione di una concezione
materialistica della storia) è la principale opera a cui si sono dedicati per
decenni i dirigenti riformisti. E, negli ultimi tre lustri, è stato il compito
prioritario del bertinottismo (oggi ereditato dai discepoli Ferrero e Vendola
nella diaspora) per aprirsi una via verso qualche poltrona o sgabello nei
governi della borghesia e del suo Stato (che per questo viene presentato come
"neutro", al di sopra delle classi).
Non abbiamo qui lo spazio
per riprendere in modo approfondito una polemica che è stata centrale (e rimane
tale) nella storia del movimento operaio per distinguere i riformisti dai
rivoluzionari. Nemmeno intendiamo analizzare qui la natura dei movimenti
"viola" che citavamo prima e il loro pericoloso ruolo di surrogato di
partiti dei lavoratori. Limiteremo il nostro sguardo al tema della Costituzione
che ben riassume il nocciolo della differenza tra i comunisti e i movimenti di
cui stiamo parlando, cioè tra "rossi" e "viola".
Lo Stato e le sue leggi: nell'analisi dei rivoluzionari e in quella dei riformisti
Pur limitandoci ad alcuni
cenni, è utile ricordare che per i comunisti rivoluzionari (da Marx a Lenin e
Trotsky) non esiste uno Stato neutro: essendo lo Stato (con le sue leggi, i
suoi magistrati, i suoi uomini armati, eserciti e polizie, le sue carceri) lo
strumento grazie a cui la classe dominante rimane tale, cioè mantiene il
controllo sui mezzi di produzione e di scambio. C'è lo Stato borghese, quando a
dominare è il sistema dello sfruttamento del lavoro salariato, il capitalismo;
c'è lo Stato operaio, quando al potere ci sono i lavoratori che hanno
rovesciato, con una rivoluzione, il dominio borghese. In entrambi i casi
abbiamo una "dittatura" (cioè un dominio) di una classe: o dittatura
della borghesia o dittatura del proletariato. Nello Stato capitalista, secondo
la celebre formula del Manifesto del '48,
il governo "non è che un comitato il quale amministra gli affari comuni di
tutta quanta la classe borghese." E' appunto la natura di classe dello
Stato a rendere illusoria ogni ipotesi di "conquistarlo" (attraverso
una vittoria elettorale) per convertirlo a un uso di classe differente. Se a
determinati rapporti di proprietà e produzione corrisponde una specifica
struttura statale, allora il proletariato che cerca di rovesciare quei rapporti
necessita di uno strumento affatto diverso. Ne consegue che i comunisti si
danno come obiettivo quello di infrangere lo Stato: "spezzarlo",
secondo la modalità che Marx analizzò nell'esperienza della Comune di Parigi
del 1871 che costituiva "la forma finalmente scoperta" attraverso cui
i lavoratori potevano esercitare il loro dominio, unendo in un unico organismo
il potere legislativo, esecutivo e giudiziario (che la democrazia borghese aveva
preteso di "tripartire", come nell'esempio della Costituzione francese
del 1791, ispirata da Montesquieu; principio solo parzialmente superato dalla
contraddittoria Costituzione dell'Anno II, il 1793 giacobino, in cui il potere
robespierrista ‑ comunque borghese ‑ si sosteneva sul proto-proletariato
parigino organizzato nella prima Comune).
Scopo dei comunisti è dunque
"spezzare" lo Stato attraverso una rivoluzione e sostituirlo con un
altro Stato, un altro dominio: al posto della dittatura della classe borghese
(esercitata da pochi uomini sulla stragrande maggioranza), la dittatura della
classe proletaria (esercitata dalla maggioranza della popolazione contro una
esigua minoranza). Una dittatura che a differenza di tutte quelle conosciute
nella Storia mira ad estinguersi, insieme con l'estinzione della società divisa
in classi (e quindi degli Stati).
Questi principi essenziali su
cui nasceva il comunismo rivoluzionario, il marxismo, furono contrastati dai
riformisti già a metà dell'Ottocento (i socialisti di Louis Blanc nel governo
borghese del febbraio 1848
in Francia) e poi dalla socialdemocrazia a partire dalla
fine dell'Ottocento (i socialisti di Millerand nel governo borghese di
Waldeck-Rousseau) e dai riformisti di ogni epoca e tempo (nel Novecento fu lo
stalinismo a riportare nel movimento operaio le teorie riformiste sullo Stato
combattute da Lenin, teorizzando e praticando con i "fronti popolari"
la partecipazione in governi di collaborazione di classe) ogni qualvolta hanno
cercato di entrare in un governo borghese, avendo difatti la necessità di
presentare le istituzioni dello Stato come "neutre", la democrazia
(borghese) come "neutra" e "allargabile" o comunque
adattabile, come una stoffa elastica, alle esigenze di tutte le classi e quindi
anche a quelle dei lavoratori. Da sempre infatti il riformismo consiste nel
convincere i lavoratori dell'inutilità (o impossibilità) di trasformarsi in
classe dominante attraverso una rivoluzione (che "spezza" la macchina
statale borghese, così come fece dopo la Comune del 1871 la rivoluzione bolscevica del
1917), proponendo invece una via (presentata come "più realistica")
che si traduce nell'aumentare i voti e governare insieme alla borghesia
all'interno del suo Stato: cioè non limitandosi ad usare gli spazi delle
istituzioni borghesi come strumenti di propaganda (cosa che fanno i
rivoluzionari) ma cercando di ricavarsi un posto anche nelle strutture
esecutive (governi e giunte) per collaborare col potere borghese sostenendo
quelle leggi e quelle Costituzioni, quei "gruppi di uomini armati"
(esercito, polizie) che, sotto l'immagine di leggi "uguali per tutti"
e di apparati "neutrali" in realtà esistono esclusivamente per
regolare gli affari della borghesia, i suoi profitti, imporre il suo potere e
la schiavitù salariale.
La confusione su questi
temi, alimentata ad arte dai dirigenti riformisti, non è mai stata in alcun
modo diradata dai dirigenti centristi, che anzi contribuiscono a ancor oggi a legittimare
l'idea di uno Stato neutro o comunque "terzo" rispetto al conflitto
di classe (1).
Come è nata la Costituzione
Per ogni materialista (già
qualche millennio prima del materialismo dialettico, scientifico, di Marx ed
Engels) le idee (il pensiero, lo spirito, la coscienza, a seconda del termine
impiegato dalla filosofia) sono determinate dalla materia (l'essere). Le teorie
filosofiche e giuridiche, le leggi, i differenti ordinamenti sociali, dunque la
sovrastruttura, sono il prodotto della evoluzione storico-sociale, cioè della
struttura (e non viceversa "idee cadute dal cielo", come sostenevano
e sostengono gli idealisti). Non esiste una "democrazia" pura ma
soltanto una democrazia storicamente determinata, formata su determinati
rapporti di produzione e di classe.
Basterebbe questo richiamo
per spiegare, dal punto di vista teorico, perché non può esistere nessuna legge
o Costituzione di uno Stato che si ponga a difesa dei "cittadini":
non esistendo nella realtà questa categoria astratta in una società divisa in
classi, in padroni e lavoratori, sfruttatori e sfruttati. Le leggi e le
Costituzioni degli Stati sono strumenti (insieme ad altri ben più tangibili:
tribunali e carceri, forze armate, ecc.) per difendere la classe dominante e il
suo dominio sui mezzi di produzione.
La Costituzione della Repubblica italiana non è un'eccezione. Nacque
come prodotto di uno degli scontri di classe più duri della storia italiana, al
termine del periodo '43-'48, quando, dopo aver rovesciato in armi il fascismo,
i lavoratori detenevano nei fatti il potere (situazione di dualismo di poteri
in tante parti del Paese, le fabbriche in mano agli operai): fino a quando,
sotto la guida del Pci togliattiano, assunto dalla borghesia al governo come agente
per disarmare le lotte, il potere fu infine riconsegnato integralmente ai
padroni chiudendo, nel 1948, dopo le manifestazioni per l'attentato a
Togliatti, il ciclo di lotte apertosi nel '43. I padroni si sdebitarono regalando
(secondo una felice espressione di un costituzionalista liberale) "una rivoluzione
promessa in cambio di una rivoluzione mancata".
Cosa c'è scritto nella Costituzione
La "rivoluzione
promessa" consisteva in una Costituzione tra le più avanzate tra quelle
dei Paesi capitalisti (cioè delle dittature borghesi). I tanti articoli, effettivamente
avanzati, spesso citati dagli apologeti della Costituzione (cantori di una repubblica
onesta ed egualitaria, che non è mai esistita nella realtà) sono stati
generosamente concessi dai partiti della borghesia ai partiti del movimento
operaio in quanto i padroni erano ben disposti a regalare delle frasi scritte
sulla carta vedendosi restituire, in cambio, il potere che la Resistenza aveva
oggettivamente messo in discussione (andando spesso ben oltre le intenzioni del
gruppo dirigente del Pci, subalterno agli interessi della burocrazia stalinista
di Mosca che, avendo spartito il mondo con gli imperialisti, aveva lasciato
l'Italia nella sfera di influenza del capitalismo).
Senza aver presente il
contesto socio-politico in cui fu elaborata la Costituzione, non si
riesce a capirne le ambiguità, il convivere di principi che alludono (o
sembrano alludere) a una democrazia molto avanzata e di richiami all'ordine
capitalistico. Richiami in genere minimizzati dai difensori di sinistra della
Costituzione, che fingono di ignorare che anche volendo (per assurdo) leggere quel
testo come se le leggi potessero esistere in forma indipendente dal potere
materiale che le origina, la
Costituzione contiene articoli pesanti come zavorre che
riportano i voli pindarici di qualche articolo alato sul duro terreno dello
sfruttamento capitalistico. A puro titolo di esempio si pensi all'art. 36, che
definisce come fondamento della società "il lavoro", salvo precisare
subito che si tratta del lavoro salariato, cioè dello sfruttamento dei
lavoratori da parte dei padroni. O si vedano gli art. 29 e 37 che indicano
nella famiglia capitalistica la "società naturale" in cui la donna è
chiamata a svolgere un ruolo subalterno, doppiamente sfruttata; e ancora l'art.
7 (modificato in seguito, ma non nell'essenziale) che attribuisce alla Chiesa
cattolica uno status privilegiato, da cui discende (art. 33) il riconoscimento
della scuola privata (in teoria "senza oneri per lo Stato", nei
fatti, come è noto, finanziata, insieme a tutta la Chiesa, dalle casse
statali). Il tutto nel quadro di una difesa della Patria (art. 52) sacra come
la proprietà privata capitalistica (art. 41 e 42) a cui è non a caso
subordinato il diritto di sciopero come diritto limitato dalle leggi (art. 40).
I comunisti si battono per un'altra democrazia, un altro Stato, un altro potere
Come si vede, la Costituzione
italiana, testo anacronistico che rimanda ad un'altra fase storica e ad altri
rapporti di forza (molto avanzati per il movimento operaio), non può essere
difesa dai comunisti. Nata per consentire la ricostruzione dello Stato posto a
difesa del potere borghese dopo una guerra civile, laddove fosse mai applicata
per intero (se, per astrazione, ripetiamolo, fossero le leggi e i pezzi di
carta e non i rapporti di produzione e la lotta di classe a determinare il
potere in una società) non ci porterebbe più in là dei confini di una pur
avanzata repubblica borghese, cioè di una democrazia parlamentare nel
capitalismo, inevitabilmente intrisa di ogni forma di corruzione perché fondata
sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Un argomento talvolta
impiegato per rispondere a questo ragionamento marxista è quello (arcinoto) del
"meno peggio", del "meglio questo che quello", meglio una
democrazia avanzata che una dittatura fascista, meglio una repubblica
parlamentare alla repubblica presidenzialista che vuole Berlusconi, ecc. E' un
argomento falso. Quando fu scritta la Costituzione, come abbiamo visto, lo scontro non
era tra fascismo e "democrazia" bensì tra potere borghese e potere
operaio, e la
Costituzione serviva solo come diversivo proprio per evitare
il "meglio" (cioè il governo dei lavoratori). Oggi, ugualmente, non
si tratta di contrapporre alla repubblica berlusconiana una repubblica
"democratica" (la democrazia di chi? di quale classe? la democrazia
di De Benedetti e Marchionne?) ma piuttosto di costruire un'alternativa dei
lavoratori agli schieramenti dell'alternanza padronale. Per fare questo i
comunisti devono certo difendere ogni spazio democratico, anche in questa società:
ma solo come arena di lotta per i lavoratori, per preparare le condizioni di
forza per rovesciare questa società, i suoi rapporti di produzione, la
democrazia su di essi edificata. Ogni altro richiamo alla
"democrazia", alla Costituzione, alla "legalità", alla
"indipendenza della magistratura", fa il gioco, oggi come ieri, solo
dei padroni di questa democrazia, democrazia delle casseforti, come si diceva un
tempo, con una definizione che non ha perso di efficacia.
Note
(1) Lo faceva ieri Kautsky (per questo motivo guadagnandosi l'appellativo di "rinnegato" da Lenin) lo fanno oggi i vari Ferrando (Pcl) quando vanno alle manifestazioni del Pd per la "legalità" e si fanno fotografare in posa (si vedano su internet le foto della manifestazione del 13 marzo 2010) insieme a De Magistris (Italia dei Valori), sfoggiando un maglione viola e rivendicando la "universalità" della democrazia e il rispetto della Costituzione (come tornano a fare di nuovo in questo 12 marzo 2011, ndr). Lo fa Sinistra Critica quando sostiene che l'opposizione ai governi borghesi non è un principio politico fondante del comunismo, essendo possibile giudicare di volta in volta, in base a presunti "rapporti di forza", allo stato dei movimenti, la collocazione dei comunisti rispetto al governo: e finendo in questo modo con il ritenere accettabile il sostegno seppure "critico" e "distante" e transitorio a un governo della borghesia (come hanno fatto i parlamentari Turigliatto e Cannavò nella maggioranza del secondo governo Prodi). I centristi, insomma, come disse senza gentilezza ma con grande precisione Lenin di centristi di altre epoche, richiamandosi a Marx finiscono col "trasformare Marx in un liberale da dozzina".