Lo stallo del movimento in Italia non è casuale. Vi lavorano attivamente le burocrazie sindacali e della sinistra ministeriale che svolgono il ruolo di pacificatori del conflitto sociale per favorire l'azione del governo Prodi. E' grazie all'intervento dei gruppi dirigenti di Cgil, Prc, Sinistra Democratica e Pdci se ancora scarsa e limitata è la risposta all'attacco pesantissimo del governo.
Un attacco fatto di un misto di guerra sociale in patria (pensioni, Tfr, privatizzazione della Scuola, legge Ferrero-Amato che mantiene i Cpt e risponde alle esigenze di mano d'opera a basso costo dei padroni, ecc.) e di sviluppo della guerra militare all'estero (è di questi giorni il rinforzo in truppe e armamenti della missione in Afghanistan; e segue l'invio di Caschi blu in Libano a difesa dell'avamposto imperialista Israele). Sono i Giordano, i Mussi e gli Epifani a ignorare la richiesta di uno sciopero generale per difendere le pensioni che viene da tante fabbriche in cui sono iniziati scioperi spontanei.
Il ruolo di strumento delle politiche del governo confindustriale svolto dalla sinistra di governo (ecco cosa c'è dietro l'"unità" nel "cantiere" di Mussi e Bertinotti) risulta chiaro anche in vista del 9 giugno. Il Prc promuove una manifestazione esclusivamente "anti-Bush" che cerca di stornare l'attenzione dalla politica del governo Prodi -che come gli altri imperialismi europei agisce in collaborazione e competizione (altro che "subalternità "!) con quello Usa, a tutela degli interessi del capitalismo italiano.

La crescita del movimento non è ostacolata soltanto dalla sinistra di governo. Non meno pericolose sono le posizioni di chi si propone come "pontiere" tra la sinistra di governo e le lotte, teorizzando un sostegno critico o "alternato" al governo. E' quanto fa Rinaldini della Fiom che, al di là delle parole, non indica un percorso concreto di costruzione dello sciopero generale. E' quanto fa Sinistra Critica di Turigliatto, che dopo aver votato la Finanziaria di guerra e i 12 punti di guerra di Prodi si propone di fornire un "sostegno esterno" al governo, misto ad una innocua "critica" e a qualche voto differenziato in parlamento.
Giorgio Cremaschi ha dichiarato che il 9 "E' assolutamente da evitare una contrapposizione tra sinistra governativa e anti-governativa, bisogna trovare il modo di conciliare le iniziative." (Repubblica, 16 maggio). Ma in realtà la divisione della piazza la sceglie chi sta con il governo di guerra: non c'è "unità" possibile tra le politiche imperialiste di Prodi (e di chi le sostiene attivamente) e le ragioni dei movimenti di lotta. L'unità che davvero serve è un'altra. E' l'unità dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, attorno a un programma di opposizione di classe per fermare l'imperialismo, cioè concretamente per opporsi a Prodi: limitarsi ad accentuare la gradazione critica verso il governo non fermerà certo l'attacco più brutale che la borghesia ha sferrato negli ultimi decenni.
Il rilancio del movimento contro la guerra -che troverà nella manifestazione del 9 giugno un momento importante- necessita di un confronto al suo interno sulla natura della guerra, dei governi che la promuovono e su come si possa contrastare l'una e gli altri.
Per sviluppare la lotta sottraendola ai tentativi "pacificatori" della sinistra di governo è necessario estendere il movimento costituendo comitati contro la guerra in ogni città e dare vita a un coordinamento nazionale democraticamente rappresentativo di tutte le realtà e delle differenti posizioni -superando l'attuale strutturazione del Comitato No War basato su "coordinatori" autodesignati che prendono scelte importanti (come la piattaforma della manifestazione) in riunioni semi-segrete. Atteggiamenti leaderistici o escludenti non favoriscono la necessaria crescita unitaria del movimento.