Il nuovo governo
del cambiamento?
L’Esecutivo
Lega-Cinque stelle
e le sue
prospettive: un’analisi di classe
di Matteo Bavassano

Dopo una serie di trattative,
contro-trattative, pressioni più o meno marcate del presidente della repubblica,
nonché una miriade di dichiarazioni contraddittorie di esponenti delle varie
formazioni politiche, in particolare di un Partito democratico in crisi
verticale in cui l’ex-segretario Renzi ha affossato le trattative con il
Movimento 5 stelle contraddicendo il segretario attuale Martina, Lega e M5s
hanno raggiunto un accordo politico su programma di governo e nomi
dell’esecutivo stesso, compreso il nome del premier, scoglio importante da
risolvere dato che inizialmente entrambi i partiti volevano accaparrarsi la
leadership della coalizione. È importante ora analizzare il prossimo governo e
le sue prospettive dal punto di vista della classe operaia, per cercare di
capire a cosa andranno incontro i lavoratori nei prossimi mesi e come possono
prepararvisi.
«Accordo politico» o «contratto di
governo»?
Sottolineiamo la dicitura corretta «accordo politico»: nonostante tutte le dichiarazioni di Di Maio, un po’ patetiche a dire la verità, secondo cui questa alleanza sarebbe solo un «contratto di governo» e non quello che è, cioè un’alleanza politica tra un partito dichiaratamente di destra e xenofobo e il Movimento 5 stelle, formazione politica con un programma ormai interamente borghese, mascherato dietro una fraseologia interclassista radicale sempre più limitata (specialmente dopo la svolta a destra sulle tematiche internazionali durante e dopo la campagna elettorale) che dà al programma delle tinte piccolo-borghesi volte ad attirarsi le simpatie sia dei ceti medi impoveriti che di settori operai arretrati colpiti dalla crisi. Parte importante del consenso elettorale dei Cinque stelle è ancora dovuto alla sua retorica anti-casta, che fa molta presa in un Paese abituato a pensare che i privilegi dei politici siano il problema principale, e non che questi siano una prebenda per i servigi elargiti alla stabilità dell’ordine capitalista borghese italiano e ai suoi gruppi economici e finanziari. Il capo dei Cinque stelle Di Maio non può quindi permettere che l’alleanza del M5s con la Lega venga vista per quello che è: non un fatto nuovo nella politica italiana, la «nascita della terza repubblica», ma un ritorno ad accordi politici da prima repubblica.
Sottolineiamo la dicitura corretta «accordo politico»: nonostante tutte le dichiarazioni di Di Maio, un po’ patetiche a dire la verità, secondo cui questa alleanza sarebbe solo un «contratto di governo» e non quello che è, cioè un’alleanza politica tra un partito dichiaratamente di destra e xenofobo e il Movimento 5 stelle, formazione politica con un programma ormai interamente borghese, mascherato dietro una fraseologia interclassista radicale sempre più limitata (specialmente dopo la svolta a destra sulle tematiche internazionali durante e dopo la campagna elettorale) che dà al programma delle tinte piccolo-borghesi volte ad attirarsi le simpatie sia dei ceti medi impoveriti che di settori operai arretrati colpiti dalla crisi. Parte importante del consenso elettorale dei Cinque stelle è ancora dovuto alla sua retorica anti-casta, che fa molta presa in un Paese abituato a pensare che i privilegi dei politici siano il problema principale, e non che questi siano una prebenda per i servigi elargiti alla stabilità dell’ordine capitalista borghese italiano e ai suoi gruppi economici e finanziari. Il capo dei Cinque stelle Di Maio non può quindi permettere che l’alleanza del M5s con la Lega venga vista per quello che è: non un fatto nuovo nella politica italiana, la «nascita della terza repubblica», ma un ritorno ad accordi politici da prima repubblica.
M5s: cambiamento o continuità del regime politico
italiano?
La politica borghese ovviamente è questa: se si accetta la prospettiva per cui il «cambiamento» può venire per via parlamentare, allora la logica stessa del parlamentarismo ti porta alla necessità di allearti con altre forze politiche per governare. Il M5s deve però fare di tutto per occultare questa realtà e mantenere la sua immagine di alternatività, se non altro perché la sua utilità per la borghesia italiana, come ci è capitato più volte di dire in questi anni, è principalmente quella di aver tolto spazio ed «ossigeno» politico ai movimenti di protesta e di aver quindi riportato il dissenso sociale diffuso, causato anche dalle politiche di austerità con cui i governi rispondevano alla crisi economica capitalista, sui binari dell’opposizione parlamentare, evitando così che una parte della protesta potesse assumere posizioni di classe. E ciò è stato fatto scientemente da Grillo e dai suoi, soprattutto negli anni in cui erano al di fuori del parlamento, cioè negli anni più duri della crisi, come testimoniato da diverse dichiarazioni degli esponenti del movimento. Il Movimento cinque stelle non è mai stata quindi una forza politica che volesse un cambiamento reale dell’Italia, ma anzi è stato fin dalla sua nascita una stampella del regime parlamentare italiano, seppure nella forma dell’opposizione «radicale» ma interna alle logiche del sistema borghese. Di più: l’evoluzione del M5s è andata sempre più a destra con gli anni e soprattutto con l’ingresso nelle istituzioni a livello nazionale e regionale; dopotutto, i Cinque stelle nascono principalmente dalla palude del fallimento della sinistra riformista (Rifondazione comunista in primis), e solo successivamente vengono introdotte tematiche prettamente di destra, come il rifiuto dei sindacati (che faceva leva sul sentimento progressivo dei lavoratori contro le burocrazie dei sindacati concertativi, ma che veniva distorto in senso reazionario contro i sindacati in generale), la contrapposizione xenofoba contro quella importante parte della classe lavoratrice del nostro Paese che sono gli immigrati. Il tutto per strappare voti in quei settori sociali impoveriti dalla crisi (ceti medi e lavoratori) che avevano un forte risentimento verso i partiti che avevano gestito le politiche di austerità e che erano in cerca di un nuovo riferimento politico. Un processo del tutto simile a quanto avvenuto specularmente, anche se con dinamiche e tempi diversi nel centrodestra con Salvini e la Lega.
La politica borghese ovviamente è questa: se si accetta la prospettiva per cui il «cambiamento» può venire per via parlamentare, allora la logica stessa del parlamentarismo ti porta alla necessità di allearti con altre forze politiche per governare. Il M5s deve però fare di tutto per occultare questa realtà e mantenere la sua immagine di alternatività, se non altro perché la sua utilità per la borghesia italiana, come ci è capitato più volte di dire in questi anni, è principalmente quella di aver tolto spazio ed «ossigeno» politico ai movimenti di protesta e di aver quindi riportato il dissenso sociale diffuso, causato anche dalle politiche di austerità con cui i governi rispondevano alla crisi economica capitalista, sui binari dell’opposizione parlamentare, evitando così che una parte della protesta potesse assumere posizioni di classe. E ciò è stato fatto scientemente da Grillo e dai suoi, soprattutto negli anni in cui erano al di fuori del parlamento, cioè negli anni più duri della crisi, come testimoniato da diverse dichiarazioni degli esponenti del movimento. Il Movimento cinque stelle non è mai stata quindi una forza politica che volesse un cambiamento reale dell’Italia, ma anzi è stato fin dalla sua nascita una stampella del regime parlamentare italiano, seppure nella forma dell’opposizione «radicale» ma interna alle logiche del sistema borghese. Di più: l’evoluzione del M5s è andata sempre più a destra con gli anni e soprattutto con l’ingresso nelle istituzioni a livello nazionale e regionale; dopotutto, i Cinque stelle nascono principalmente dalla palude del fallimento della sinistra riformista (Rifondazione comunista in primis), e solo successivamente vengono introdotte tematiche prettamente di destra, come il rifiuto dei sindacati (che faceva leva sul sentimento progressivo dei lavoratori contro le burocrazie dei sindacati concertativi, ma che veniva distorto in senso reazionario contro i sindacati in generale), la contrapposizione xenofoba contro quella importante parte della classe lavoratrice del nostro Paese che sono gli immigrati. Il tutto per strappare voti in quei settori sociali impoveriti dalla crisi (ceti medi e lavoratori) che avevano un forte risentimento verso i partiti che avevano gestito le politiche di austerità e che erano in cerca di un nuovo riferimento politico. Un processo del tutto simile a quanto avvenuto specularmente, anche se con dinamiche e tempi diversi nel centrodestra con Salvini e la Lega.
L’altra faccia del populismo italiano: la
Lega
Dobbiamo chiarire fin da subito che la Lega di Salvini ha subito una sostanziale mutazione «genetica», che di certo non ha cambiato il carattere di classe del partito, ma che lo ha trasformato da un partito populista territoriale, che gestiva parti importanti di potere a livello locale e, in virtù di questa predominanza territoriale, anche a livello nazionale, in un partito populista xenofobo nazionale, che è stato il perno della coalizione di centro-destra alle ultime elezioni, e che ha la forza elettorale necessaria per staccarsi da Berlusconi e avviare un governo con il M5s. Salvini ha costruito scientemente questa trasformazione, facendo asse da subito con le formazioni di estrema destra (come Casapound, ma anche con formazioni più piccole, ma non meno pericolose, tipo Lealtà e azione, che in alcuni luoghi si sono di fatto uniti alla Lega), ma anche rilanciando un’immagine mediatica del partito, andando a pescare in quell’elettorato di centrodestra berlusconiano che cercava appunto una figura dinamica e carismatica alternativa a Berlusconi a cui affidarsi. Inutile dire che anche il populismo della Lega non configura assolutamente, nemmeno da destra e quindi in senso nazionalista, un’alternativa né alle politiche economiche italiane, né alle politiche europee, che la Lega punta nel migliore dei casi a ricontrattare per avere maggiori spazi di manovra, magari in alleanza con la Le Pen e altre formazioni di destra xenofoba degli altri Paesi europei.
Dobbiamo chiarire fin da subito che la Lega di Salvini ha subito una sostanziale mutazione «genetica», che di certo non ha cambiato il carattere di classe del partito, ma che lo ha trasformato da un partito populista territoriale, che gestiva parti importanti di potere a livello locale e, in virtù di questa predominanza territoriale, anche a livello nazionale, in un partito populista xenofobo nazionale, che è stato il perno della coalizione di centro-destra alle ultime elezioni, e che ha la forza elettorale necessaria per staccarsi da Berlusconi e avviare un governo con il M5s. Salvini ha costruito scientemente questa trasformazione, facendo asse da subito con le formazioni di estrema destra (come Casapound, ma anche con formazioni più piccole, ma non meno pericolose, tipo Lealtà e azione, che in alcuni luoghi si sono di fatto uniti alla Lega), ma anche rilanciando un’immagine mediatica del partito, andando a pescare in quell’elettorato di centrodestra berlusconiano che cercava appunto una figura dinamica e carismatica alternativa a Berlusconi a cui affidarsi. Inutile dire che anche il populismo della Lega non configura assolutamente, nemmeno da destra e quindi in senso nazionalista, un’alternativa né alle politiche economiche italiane, né alle politiche europee, che la Lega punta nel migliore dei casi a ricontrattare per avere maggiori spazi di manovra, magari in alleanza con la Le Pen e altre formazioni di destra xenofoba degli altri Paesi europei.
Solo un altro governo borghese da cui non verrà nulla di
buono!
Se dalle elezioni non può venire nulla di favorevole ai lavoratori, tanto meno ci aspettavamo dalle consultazioni elettorali che ne potesse uscire qualcosa di buono: qualsiasi governo fosse nato avrebbe portato avanti misure volte a privatizzare i servizi pubblici, a comprimere pensioni e salari e a tagliare diritti in generale. Il governo M5s-Lega si caratterizza però per il fatto di unire l’intransigenza e la propensione fascistoide alla repressione della Lega di Salvini, che non a caso pare destinato a fare il ministro dell’interno, al ruolo di freno delle mobilitazioni e delle lotte che i Cinque stelle hanno sempre svolto efficacemente grazie al loro «radicalismo» verbale. Ciononostante, stando a contatto con la classe, è evidente che questo nuovo esecutivo ha suscitato delle aspettative tra i lavoratori, che sono al momento «in attesa». E se è vero che il nuovo governo dovrebbe disporre di una solida base parlamentare, non è così se guardiamo alla sua base sociale: la base sociale del Movimento 5 stelle in particolare (ma in parte anche quella della Lega) è piena di contraddizioni, soprattutto nel senso che sono settori sociali che sostengono inconsapevolmente un programma di governo che è contrario ai loro interessi, ma lo fanno con l’aspettativa di un cambiamento reale che tuttavia non ci sarà e non potrà esserci.
È impossibile dire con certezza quanto durerà la «luna di miele» tra i lavoratori e il governo M5s-Lega: se si prolungasse troppo, la demoralizzazione dei lavoratori e l’arretratezza della classe potrebbe portare a un’apatia diffusa che rafforzerebbe il governo. Tuttavia non è questa l’alternativa più probabile, soprattutto nel quadro di una crisi economica globale che non è stata superata: se è vero che il M5s ha ricevuto il sostegno elettorale di una parte importante della classe lavoratrice italiana, il legame di questo partito con la classe non è assolutamente paragonabile a quello dei vecchi partiti riformisti come il Pci, che poteva contare su circoli, associazioni e sindacati per controllare la classe operaia. Se i lavoratori sapranno reagire con forza, a partire proprio dalle vertenze già in atto (Ilva, Alitalia, diplomati magistrali e scuola in generale solo per citare le più note), alle prevedibili misure anti-operaie, il governo sarà posto di fronte alla necessità di reprimere le lotte: la base sociale che ha sostenuto elettoralmente il M5s rischia di sgretolarsi alla prima manganellata grillino-leghista su una manifestazione di lavoratori. Se invece M5s e Lega dovessero passare la prova governativa senza scossoni, i settori sociali che li hanno sostenuti rischiano di legarsi più profondamente a questi partiti. La sfida che ha di fronte il movimento operaio è quella di costruire un fronte unico di classe per opporsi realmente a questo governo partendo dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro, e che possa diventare un sostegno per le lotte e le rivendicazioni dei lavoratori, al di là delle differenze di sigle sindacali: da qui passa l’opposizione per sconfiggere il nuovo governo borghese grillino-leghista e la ricostruzione di un’ampia opposizione sociale su posizioni classiste.
Se dalle elezioni non può venire nulla di favorevole ai lavoratori, tanto meno ci aspettavamo dalle consultazioni elettorali che ne potesse uscire qualcosa di buono: qualsiasi governo fosse nato avrebbe portato avanti misure volte a privatizzare i servizi pubblici, a comprimere pensioni e salari e a tagliare diritti in generale. Il governo M5s-Lega si caratterizza però per il fatto di unire l’intransigenza e la propensione fascistoide alla repressione della Lega di Salvini, che non a caso pare destinato a fare il ministro dell’interno, al ruolo di freno delle mobilitazioni e delle lotte che i Cinque stelle hanno sempre svolto efficacemente grazie al loro «radicalismo» verbale. Ciononostante, stando a contatto con la classe, è evidente che questo nuovo esecutivo ha suscitato delle aspettative tra i lavoratori, che sono al momento «in attesa». E se è vero che il nuovo governo dovrebbe disporre di una solida base parlamentare, non è così se guardiamo alla sua base sociale: la base sociale del Movimento 5 stelle in particolare (ma in parte anche quella della Lega) è piena di contraddizioni, soprattutto nel senso che sono settori sociali che sostengono inconsapevolmente un programma di governo che è contrario ai loro interessi, ma lo fanno con l’aspettativa di un cambiamento reale che tuttavia non ci sarà e non potrà esserci.
È impossibile dire con certezza quanto durerà la «luna di miele» tra i lavoratori e il governo M5s-Lega: se si prolungasse troppo, la demoralizzazione dei lavoratori e l’arretratezza della classe potrebbe portare a un’apatia diffusa che rafforzerebbe il governo. Tuttavia non è questa l’alternativa più probabile, soprattutto nel quadro di una crisi economica globale che non è stata superata: se è vero che il M5s ha ricevuto il sostegno elettorale di una parte importante della classe lavoratrice italiana, il legame di questo partito con la classe non è assolutamente paragonabile a quello dei vecchi partiti riformisti come il Pci, che poteva contare su circoli, associazioni e sindacati per controllare la classe operaia. Se i lavoratori sapranno reagire con forza, a partire proprio dalle vertenze già in atto (Ilva, Alitalia, diplomati magistrali e scuola in generale solo per citare le più note), alle prevedibili misure anti-operaie, il governo sarà posto di fronte alla necessità di reprimere le lotte: la base sociale che ha sostenuto elettoralmente il M5s rischia di sgretolarsi alla prima manganellata grillino-leghista su una manifestazione di lavoratori. Se invece M5s e Lega dovessero passare la prova governativa senza scossoni, i settori sociali che li hanno sostenuti rischiano di legarsi più profondamente a questi partiti. La sfida che ha di fronte il movimento operaio è quella di costruire un fronte unico di classe per opporsi realmente a questo governo partendo dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro, e che possa diventare un sostegno per le lotte e le rivendicazioni dei lavoratori, al di là delle differenze di sigle sindacali: da qui passa l’opposizione per sconfiggere il nuovo governo borghese grillino-leghista e la ricostruzione di un’ampia opposizione sociale su posizioni classiste.