Istruzione e Regno del Merito: l’ideologia reazionaria del governo Meloni
di Giorgio Viganò
Interrogato nel Question Time alla Camera dei Deputati del 23 novembre scorso, il neoministro Giuseppe Valditara ha avuto una prima vetrina in cui esporre il significato del cambiamento nel nome del Ministero da lui guidato, oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ideologia dominante in salsa leghista
La sua è stata una spiegazione piuttosto vaga e, per così dire, orientata al sociale, in cui ha tirato in ballo l’articolo 34 della Costituzione: «È compito della scuola individuare, valorizzare e far emergere i talenti e le capacità di ogni studente e ogni studentessa, indipendentemente dalle proprie condizioni di partenza, affinché ciascuno possa perseguire il pieno sviluppo della persona umana nelle disuguaglianze territoriali». Tuttavia, il tipico teatrino parlamentare prevedeva già il ruolo del gobbo, che spettava a Romano Sasso, deputato ed ex-sottosegretario all’Istruzione della Lega: molto più sguaiato, il leghista ringraziava il ministro e si lanciava in una condanna di una fantomatica «vera e propria deriva progressista che ha penalizzato il merito, derubricandolo a peccato, contro l'ideologia dell'uguaglianza, uguali a tutti i costi».
E sarà invece il ministro stesso, a gennaio, a chiarire il riferimento alle diseguaglianze territoriali, ipotizzando, in una concessione a un leghismo nordista mai veramente sopito: «chi vive e lavora in una regione d’Italia in cui è più alto il costo della vita potrebbe guadagnare di più»: come se non bastasse la situazione di degrado della pubblica istruzione nel sud del Paese, una spinta in più per allargarle, le diseguaglianze.
Ma in realtà la frase che lo avrebbe lanciato definitivamente tra i trend dei social il ministro l’aveva già sganciata due giorni prima del primo discorso ufficiale: ed è il famoso passaggio sull’umiliazione. Pronunciato in un grande appuntamento della borghesia milanese - Direzione Nord - quell’elogio dell’umiliazione come «fattore fondamentale nella crescita» ha attratto attenzione verso un discorso più ampio: un impianto di pensiero reazionario che rappresenta l’offerta politica, ormai senza vergogna, che la destra italiana porge alla borghesia in crisi, in ogni settore.
La scuola dei doveri
«Le istituzioni chiedono anche il coinvolgimento di quello che è essenziale nella repressione delle devianze: il controllo sociale, la stigmatizzazione pubblica». È il discorso di un gerarca del ventennio fascista? No, è solo il proseguimento del discorso di Valditara sull’umiliazione. Peraltro, qualche giorno dopo il ministro si scuserà circa il termine utilizzato con le solite modalità ipocrite che seguono alle sparate dei membri più reazionari delle istituzioni borghesi, ma rivendicando appieno la linea programmatica e «quello che intendeva dire»: il governo Meloni promuove una scuola meno comprensiva, con ancor meno cura della complessità sociale in cui si articolano le vite degli studenti e più rapida a reprimere le voci ostili, ma non solo, anche i primi che sgarrano e, in definitiva, i più deboli.
Non è un caso l’uso della parola devianze, che era già salita alle ribalte della cronaca durante la campagna elettorale di quest’estate: anzi, è interessante evidenziare come questo vocabolo, che aveva subito una giusta campagna di condanne in agosto, adesso pare circolare indisturbato. Nelle «devianze» erano allora racchiusi obesità, tabagismo, baby gang, spaccio, hikikomori e financo depressione e ansia.
Perché questa parola viene usata con questa facilità dalla destra, perché viene riproposta in un talk rilassato di un ministro con un auditorio di politici e imprenditori, qual è la visione ideologica che vi sta dietro?
È l’ideologia del merito e, come spesso accade, i più reazionari dicono la verità circa il sistema capitalista e il suo pensiero dominante. Perché l’ideologia del merito è proprio questo: è la repressione di tutto ciò che non è funzionale al sistema, anzi, la repressione più rapida possibile nei confronti di chi non è performante. E quindi ben venga l’abbandono scolastico tra i più alti d’Europa, ben vengano i pochi laureati: sono miliardi risparmiati dalla spesa pubblica.
Nel concreto, questo genera discriminazioni di classe: alle prime difficoltà nell’istruzione pubblica i figli della borghesia o al limite di chi ha piccoli risparmi messi da parte con il lavoro potranno transitare dalle scuole private-diplomificio, mentre chi non può permetterselo verrà presto o tardi escluso, aumentando il divario sociale. Un altro scoglio di classe per la formazione sarà all’università, e ne rimarranno ancora meno. Lo dice proprio il ministro: «se sono un figlio di operaio, mi impegno e mi sacrifico, merito di arrivare più in alto». È ai figli degli operai che viene richiesto di impegnarsi e sacrificarsi, il merito sarà il discrimine tra rarissime ascese sociali e vite di stenti.
Il governo Meloni: piena continuità
In realtà, nei tre mesi di governo, il Ministero dell’Istruzione e del Merito non ha ancora messo mano a riforme. Ha ritoccato di 70 milioni il finanziamento alle scuole private (da 556 a 646) e menziona solo 150 milioni per attività di orientamento all’istruzione pubblica.
Anche in materia di alternanza scuola-lavoro, oltre ai vaneggiamenti di circostanza sulla sicurezza, non c’è alcun passo indietro: il governo Meloni conferma sul piano strutturale la scuola uscita dal ddL Buona Scuola del governo Renzi.
Quando si lamenta dell’egualitarismo «della sinistra», chiaramente la destra non critica l’indirizzo politico degli scorsi governi di centrosinistra, bensì fa due cose ben diverse: attacca le istanze di solidarietà che la scuola in alcuni frangenti sa ancora generare e rivendica di poter affermare le verità più schifose del sistema capitalista con sguaiatezza, in modo da alimentare la competizione e la frammentazione all’interno del proletariato. Quindi lo stesso modello sociale costruito dal Pd nell’ultimo decennio, solo governato da sceriffi più violenti.