Libertà per Cesare
Battisti
di Fabiana
Stefanoni
Poche settimane fa, è stato arrestato
in Brasile Cesare Battisti, scrittore di noir ed ex militante dei Pac
(Proletari armati per il comunismo). Da anni viveva in Francia ma, dopo una
pressante richiesta da parte della magistratura italiana (con grande zelo del
ministro Castelli), la Francia nel 2004 ha concesso l'estradizione.
Battisti è riuscito a far perdere le sue tracce, fuggendo il 17 agosto 2004.
Durante questi anni, è riuscito anche a far pubblicare, in Francia, contando sul
favore dell'opinione pubblica e sul sostegno materiale di amici, militanti e
intellettuali, un romanzo autobiografico, Ma cavale ("La mia fuga").
Purtroppo, oggi si trova nelle carceri brasiliane, in attesa di sapere se anche
il Brasile accorderà l'estradizione richiesta dal governo Prodi (il quale si è
preoccupato di sottolineare la richiesta anche nel recente incontro con
Lula).
Un passo indietro
Cesare Battisti negli anni Settanta si avvicinò all'Autonomia
operaia, un'organizzazione extraparlamentare che faceva della pratica della
"riappropriazione diretta" uno dei cardini della sua tattica politica, pratica
di cui Toni Negri (un Toni Negri ben diverso da quello che conosciamo oggi) era
il principale teorico. Nell'immaginario giornalistico, l'Autonomia operaia è
spesso associata alle P38 e alla guerriglia urbana e di quartiere: la storia di
questa organizzazione – profondamente ostile a qualsiasi idea di partito – è più
complessa e non verrà qui analizzata nel dettaglio. Basta ricordare che
frequenti erano in quegli anni i cosiddetti "espropri proletari", cioè,
banalizzando, rapine che volevano essere funzionali alla "soddisfazione"
immediata dei bisogni del proletariato. Battisti venne arrestato una prima volta
alla metà degli anni Settanta. Uscito di prigione nel 1977, aderì ai Proletari
armati per il comunismo, un'organizzazione milanese che praticava la lotta
armata. Il fondatore dei Pac era Pietro Mutti, poi pentito, il principale
accusatore di Battisti per omicidi mai commessi (non è un caso che il tema del
tradimento è molto presente nella narrativa di Battisti: in Ma cavale
definisce Mutti "un boia, la cui falsa testimonianza, resa in mia assenza, mi è
costata la condanna all'ergastolo").
Battisti fu arrestato di nuovo nel 1979,
nell'ambito di una serie di retate a Milano in seguito all'omicidio di un
gioielliere, Torregiani: si trattava di un omicidio che nasceva da un caso di
delinquenza comune e che venne utilizzato per colpire il movimento milanese.
Battisti fu accusato di coinvolgimento in questo omicidio e, fatto assurdo, di
aver partecipato anche a un omicidio che avvenne lo stesso giorno quasi alla
stessa ora a centinaia di chilometri di distanza (l'omicidio del macellaio
Sabbadin, a Udine). È accusato anche di altri due omicidi e varie rapine. Nel
1981 riuscì a evadere dal carcere di Frosinone dove era rinchiuso e a fuggire
prima in Francia, poi in Messico, per poi tornare definitivamente in Francia nel
1990, che all'epoca negò l'estradizione in Italia (per la cosiddetta dottrina
Mitterand, sui rifugiati politici italiani: più di un centinaio di rifugiati
della stagione degli "anni di piombo" ottenevano il permesso di restare in
Francia, in cambio del rendersi visibili alle autorità e della rinuncia
definitiva alla "violenza politica").
La vendetta dello Stato italiano
La condanna nel 1990 all'ergastolo (in contumacia, poiché
Battisti non partecipò al processo) va compresa nel contesto delle leggi di
emergenza del periodo 1975-1982 e alla luce della volontà di vendetta postuma da
parte dello Stato e della borghesia italiani nei confronti di una stagione di
lotte che non può essere ridotta al feticismo della violenza e della lotta
armata da parte di alcuni gruppi. Le leggi di emergenza divennero, infatti, il
pretesto per spezzare e reprimere un movimento di lotte operaie e studentesche
che per un decennio aveva preoccupato la classe dirigente italiana,
costringendola anche a una serie di concessioni che, con la complicità del Pci e
delle burocrazie sindacali, erano utili per ingabbiare la protesta nell'alveo
delle compatibilità capitalistiche. Ogni organizzazione o associazione politica
diventava suscettibile di accusa di "associazione sovversiva" (si pensi agli
artt. 270 e 270 bis, ancora in vigore). Non basta: un solo testimone diventava
sufficiente per condannare militanti dell'estrema sinistra (è il caso del
processo del "7 aprile" o dei casi Sofri, Bompressi e Pietrostefani); si veniva
arrestati anche per "concorso morale" in omicidio; nei processi (anche in quello
a Battisti) si faceva uso della tortura con i testimoni. Il senso di tutto ciò è
chiaro: gli apparati dello Stato approfittavano del relativo riflusso delle
lotte operaie per "farla pagare" ad alcuni protagonisti delle proteste di quegli
anni. Dopo la "legge Cossiga" del 1980, che concedeva sconti di pena ai pentiti
quante più persone denunciavano, le sorti di tantissimi giovani furono segnate
dall'infamia di pochi.
È anche il caso di Cesare Battisti, che ha sempre
negato gli omicidi di cui è stato accusato e le cui "colpe" sono quelle di non
aver negato la sua appartenenza ai Pac (da cui si allontanò nel 1978) che
rivendicarono quegli stessi omicidi e di non aver fatto pubblica abiura del suo
passato politico. Desta ribrezzo sentire le parole compiaciute di Romano Prodi
per l'arresto di Battisti: un arresto che porta il peso di un processo in
contumacia, basato sulla sola testimonianza di un "pentito" scarsamente
attendibile, senza prove, senza che Battisti avesse la possibilità di difendersi
e con l'impiego della tortura per estorcere confessioni in fase istruttoria (1).
Da parte nostra, non ci facciamo alcuna illusione sulla magistratura borghese,
italiana, francese o brasiliana. In Francia, in occasione della concessione
dell'estradizione, una grande mobilitazione, un appello firmato da migliaia di
persone e tanti atti di solidarietà hanno accompagnato Battisti nella fuga.
Speriamo possa essere così anche in Brasile.
(Gran parte delle informazioni contenute in questo articolo
sono state tratte dal sito www.carmillaonline.com, rivista
telematica coordinata dallo scrittore Valerio Evangelisti che si è occupata a
lungo del caso Battisti, cercando di creare anche in Italia un'attenzione sulla
vicenda).
(1) L'utilizzo della tortura dei testimoni
nel corso del processo a Battisti è provata da ben tredici denunce, otto da
parte di imputati e cinque da loro parenti: i magistrati, guarda caso,
"archiviarono" le denunce.