Partito di Alternativa Comunista

A proposito del piano di «pace eterna» di Trump

 A proposito del piano di «pace eterna» di Trump

 Chi non sta con la Resistenza palestinese

 è complice del genocidio sionista

 

 

di Francesco Ricci

 

Mentre chiudiamo questo articolo arrivano le notizie dell'inizio dell'attacco dei sionisti alla Flotilla. Torneremo su questo temi in prossimi articoli.

 

L'ignobile «piano di pace» di Trump è un ultimatum ai palestinesi: o rinunciano a lottare o i sionisti avranno l'avallo trumpiano per continuare indisturbati il genocidio, che ha come scopo realizzare quello che da un secolo è il loro reale obiettivo, a prescindere che il governo di turno sia del Likud o laburista: cacciare i palestinesi anche da quelle piccole aree (la Striscia di Gaza e la Cisgiordania) in cui sono stati confinati nel 1967, dopo essere stati espulsi nel '48 da metà della loro terra (assegnata dall'Onu a «Israele») e dopo che con una ulteriore espansione i sionisti, già nel '49, si impossessarono dell'80% della Palestina, continuando (anche ora) a colonizzare persino quei piccoli pezzi di Cisgiordania che, con Gaza, secondo l'altro ignobile «piano di pace», quello di Oslo del '93-'95, avrebbero dovuto diventare in un futuro imprecisato il cosiddetto «Stato di Palestina».

 

La «pace eterna» di Trump

Il piano, presentato in questi giorni dalla coppia di criminali Trump & Netanyahu, è già molto chiaro, per quanto qualche ipocrita sostenga che bisogna precisarne i dettagli. La sostanza è che la Resistenza palestinese dovrebbe consegnare le armi, rinunciando a difendersi e a lottare, mentre l'esercito sionista (che sta uccidendo a Gaza una media di 100 palestinesi ogni giorno) lentamente si ritirerebbe parzialmente (da un'invasione che si è rivelata per loro impossibile, a causa della Resistenza) per lasciare spazio ad altre truppe coloniali sotto il controllo di Trump e dell'ex premier «socialista» britannico Blair, che vanta titoli come l'aggressione imperialista all'Irak nel 2003 (1) che comportò circa un milione di morti.
In dettaglio il piano in 20 punti prevede appunto un graduale (e lento) ritiro dell'Idf dalla Striscia (peraltro non completo) in cambio della consegna immediata degli ostaggi sionisti catturati il 7 ottobre e del disarmo dei combattenti palestinesi. I sionisti, a loro volta, rilascerebbero circa 2 mila palestinesi, degli oltre 10 mila che detengono e torturano nei lager, e concederebbe un salvacondotto per i combattenti che rinuncino a lottare.
Solo a quel punto gli enti umanitari (finora bloccati o cacciati) potranno accedere per portare ai gazawi cibo, acqua ed elettricità. La Striscia sarà a quel punto occupata da altre truppe (con la collaborazione dei regimi arabi complici degli Stati Uniti, a partire da Giordania ed Egitto), sotto il comando di Trump e Blair, che instaureranno un governo fantoccio scelto da Trump e Netanyahu che sarà impegnato nella «riqualificazione» di Gaza (la «Nuova Gaza», la riviera turistica di cui farnetica Trump). In futuro l'amministrazione potrebbe passare (così dice Trump) all'Anp, che già svolge efficacemente la funzione di «governo» collaborazionista in qualche pezzo della Cisgiordania.
Come premio finale, Trump non esclude in un futuro imprecisato che possa nascere uno «Stato palestinese» in qualche angolino di quella terra: per guadagnarsi questo paradiso del domani però i palestinesi devono oggi dimenticandosi di essere oppressi da un secolo e dimostrare persino di aver compreso «i valori» rappresentati da quell'«unica democrazia in Medio Oriente» che li massacra. Peraltro su quest'ultimo punto Netanyahu ha preferito già durante la conferenza stampa tenuta col suo complice precisare che uno Stato palestinese non esisterà mai e anzi nei suoi tour propagandistici per il mondo mostra le cartine di una ulteriore espansione sionista nei Paesi limitrofi.
Quanto all'amministrazione statunitense, l'auto-candidato Nobel per la pace Trump prosegue nella strategia che mira a mantenere il controllo della regione «pacificando» i conflitti per poter dirottare le risorse statunitensi verso il vero conflitto (per ora solo economico) da cui dipende l'ordine mondiale (oggi in crisi): il conflitto con l'imperialismo cinese.
Abu Mazen e l'Anp hanno ringraziato Trump, dichiarandosi pronti al servizio: cosa che non stupisci chi come noi da sempre ha denunciato le complicità dell'Anp col sionismo.
Alcune forze della Resistenza hanno invece giustamente già respinto il ricatto dei due boia Trump-Netanyahu. Hamas, parte fondamentale della Resistenza eroica dei palestinesi, ufficializzerà la propria posizione nelle prossime ore (mentre scriviamo questo articolo non lo ha ancora fatto).
Per parte nostra non abbiamo dubbi: solo degli ingenui (o gente in malafede) possono credere che dopo una tregua più o meno lunga «Israele» non riprenderà il suo piano genocida. Si tratta cioè di un infame ricatto, imposto a una popolazione allo stremo e privata di cibo e acqua, per disarmare i palestinesi e poi poterli colpire con più facilità. Una storia che si è già ripetuta tante volte negli scorsi decenni.

 

Il fronte borghese filo-sionista si ricompone

Come era prevedibile, questo piano criminale ha avuto subito il via libera di tutti i governi imperialisti perché «Israele» costituisce nei fatti la loro base militare in Medio Oriente e tutto è valido per preservarla.
Gli elogi a Trump sono venuti non solo dai governi a lui più vicini, come quello della Meloni, ma anche da quei governi che (mentre armavano «Israele» e colpivano con la repressione le mobilitazioni pro-Pal) avevano fatto il gesto di «riconoscere la Palestina» – per cercare di placare le piazze nei loro Paesi, tra questi il premier «socialista» (sic) dello Stato spagnolo, Sanchez.
Tutti i governi borghesi, in altre parole, sperano che decapitare la Resistenza palestinese possa servire a smobilitare le piazze dei loro Paesi: di cui hanno una grande paura.
Pieno apprezzamento viene anche dal criminale Putin (che continua la aggressione imperialista all'Ucraina) e arriverà anche dagli altri principali Paesi che dirigono i cosiddetti Brics+ (2) che, all'insaputa di quelle sinistre che spargono illusioni su un «polo» alternativo a quello «occidentale» (o financo magnificano il «socialismo cinese» di Xi Jinping, (3) non hanno mai cessato i loro commerci con Israele (4).
E, dopo gli innamoramenti elettorali dell'ultima ora per la Palestina, e gli inviti a «riconoscere uno Stato palestinese» (espressione con cui alludono in realtà a un futuro mini-Stato su un fazzoletto di terra), dopo gli apprezzamenti per la Flotilla, misti ad appelli perché si fermi come ha suggerito Mattarella, dopo le bandiere palestinesi esposte dai municipi governati dal centrosinistra, anche le cosiddette opposizioni si stanno riallineando rapidamente. Il fronte filo-sionista dell'imperialismo italiano, da Meloni alla Schlein, si ricompone. Quando gli interessi fondamentali di classe chiamano, la risposta non si fa attendere: e l'esistenza dell'entità sionista, a presidio degli interessi economico-militari, è irrinunciabile per l'imperialismo. Per questo la Palestina deve finire di essere ingoiata dal mostro razzista e suprematista.
E così eccoli tutti allineati e, con l'immancabile benedizione del Santo Padre, pronti a sostenere, più o meno criticamente, il «piano di pace» di Trump.
Ovviamente il cosiddetto «campo largo» (Pd, M5S e la coda di Avs) devono fare acrobazie linguistiche per non rompere con le esigenze dell'imperialismo ma al contempo non pagare
un costo in termini di consenso elettorale, perché sanno che nella società la causa palestinese e il discredito del sionismo è cresciuto dal 7 ottobre 2023, cioè dopo l'eroica azione della Resistenza a cui parteciparono tutte le forze combattenti con il sostegno della popolazione.
Elly Schlein, segretaria del Pd, mentre scriviamo questo articolo sta ancora cercando le parole per far digerire questo piano al suo elettorato senza pagarne un prezzo troppo alto. Conte e i Cinque Stelle, che cercano di lucrare consenso da una collocazione apparentemente più a sinistra del Pd su questo tema, parlano di «apertura di uno spiraglio», di necessità di «precisare meglio i dettagli del piano», ecc. La posizione dei Cinque Stelle è ulteriormente chiarita dal maître à penser contiano Marco Travaglio, che auspica che «le due organizzazioni terroristiche» (definizione con cui accomuna gli oppressori sionisti e la Resistenza) accettino il piano. Per non perdere i non pochi lettori filo-palestinesi del suo giornale che, in mancanza d'altro, cercano lì almeno qualche notizia, Travaglio conclude affermando che non è quanto si vorrebbe e si tratta del «meno peggio», per poi concludere riferendosi al piano di Trump: «Se non ne emerge un altro, critichiamolo finché vogliamo, ma teniamocelo stretto» (5).
Ecco come hanno gettato la maschera quelli che si spacciavano per amici del movimento e della Palestina.

 

Sviluppare un movimento unitario e il confronto interno

Dopo la grande, storica giornata di mobilitazione del 22 settembre, mentre siamo vigilia della manifestazione del 4 ottobre, si tratta di sviluppare ulteriormente un movimento che è diventato sempre più grande e che sta ormai coinvolgendo non più solo gli studenti (che per due anni sono stati l'avanguardia isolata, insieme a poche organizzazioni politiche e sindacali e alle organizzazioni giovanili palestinesi) ma sta coinvolgendo anche i lavoratori. Esemplare è la lotta dei portuali di Genova, Livorno e altri porti, che stanno bloccando le navi dello Stato più razzista del mondo. Fondamentale è stata la partecipazione di massa allo sciopero del 22 indetto dai sindacati di base (sciopero che la burocrazia Cgil aveva cercato inutilmente di boicottare).
Come sostenevamo dal 7 ottobre 2023 (tra i pochissimi a difendere quella storica giornata di lotta della Resistenza palestinese dai distinguo di gran parte della sinistra), e come ormai è realtà evidente, la causa palestinese negli ultimi due anni è diventata, grazie all'eroismo senza eguali dei palestinesi, il simbolo, per milioni di lavoratori e di giovani, della lotta e del riscatto contro la barbarie del capitalismo, un sistema basato su sfruttamento e oppressione, su guerre e devastazione ambientale.
Non si tratta, diceva un internazionalista barbuto ammazzato una sessantina di anni fa in Bolivia, di simpatizzare platonicamente per gli oppressi di altri Paesi: si tratta di lottare al loro fianco perché, seppure su fronti in Paesi diversi, combattiamo un unico nemico e ogni vittoria nostra è vittoria loro e ogni vittoria loro è nostra.
Ma la crescita e la radicalizzazione del movimento – lo abbiamo sempre detto e lo ripetiamo non accettando il «non discutiamo per non dividerci» – deve significare al contempo l'unità nelle piazze e nelle mobilitazioni ma anche un reale confronto sulle prospettive della lotta palestinese che deve diventare tutt'uno con la nostra lotta contro il governo Meloni e contro il riarmo imperialista e contro, più in generale, questo sistema di cui il sionismo è uno dei bracci armati.
Per questo continueremo, come abbiamo sempre fatto, a portare la nostra posizione, sapendo che è in contrasto con quella espressa dalla gran parte delle attuali direzioni politiche che pure sono impegnate nel movimento, da Rifondazione a Pap, dalla Rete dei Comunisti al Pcr (ex Scr).
Abbiamo già affrontato questo tema in tanti articoli, in particolare nel nostro «Chi ha paura della Palestina libera dal fiume al mare» (6). Qui ci limitiamo a dire che noi ci battiamo per una Palestina unica, laica e non razzista, una Palestina restituita interamente ai palestinesi (non solo entro i confini anteriori al '67), il che implica la distruzione dell'entità sionista. Solo così si potrà costituire una Palestina che riconosca pieni diritti alla minoranza ebraica non sionista. Un processo che richiede l'estensione della lotta oltre la Palestina, per rovesciare i regimi reazionari dell'area e arrivare a costruire una Federazione socialista del Medio Oriente.
Il che è molto diverso da quanti continuano a parlare (e a ingannare o ingannarsi, nel migliore dei casi) di «due popoli, due Stati» (riconoscendo implicitamente o esplicitamente l'esistenza dell'entità coloniale sionista e la chiusura dei palestinesi in un falso mini-Stato); o di quelli che usano la variante apparentemente più radicale di uno Stato federale. Tutte varianti che peraltro rimuovono, nei fatti, il diritto al ritorno di milioni di palestinesi costretti ad emigrare e rimuovono soprattutto il necessario legame tra questa lotta e una prospettiva internazionalista e rivoluzionaria. La nostra è una posizione diversa anche da coloro che, in nome di un'astrazione di «socialismo», rimuovono la questione nazionale che è invece parte integrante del processo rivoluzionario, il suo innesco (7).
Dunque la mobilitazione va fatta crescere in forma unitaria e molto positivi sono gli scioperi unitari che si stanno preparando (prodotto indiretto della mobilitazione che ha costretto anche la burocrazia Cgil a prendere posizione). Ma lotta unitaria non significa tacere sul ruolo che svolgono le direzioni della maggioranza delle organizzazioni della sinistra che non volendo scontrarsi realmente con gli interessi del capitalismo – è questo il punto – portano nel movimento delle posizioni sbagliate e alimentano la confusione, privando la nostra comune causa (dei palestinesi e dei proletari di tutto il mondo) di un reale sbocco rivoluzionario.

 

Sciopero il 3. Il 4 tutti in piazza. Il 7 ottobre assemblea zoom

Torneremo in altri articoli ad approfondire questi temi. In queste ore siamo, come tutti e tutte, concentrati su quanto avviene nel mare di Gaza (un mare dei palestinesi, ricordiamolo), dove la Flotilla è ormai arrivata. Senza perdere di vista il massacro che non si ferma a Gaza contrastato dall'eroica Resistenza palestinese che continua, nonostante le forze impari, a colpire gli occupanti.
Il 4 ottobre saremo tutti in piazza a Roma, e anche il 3 per lo sciopero contro l'attacco alla Flotilla. Tutto questo, ripetiamolo, senza interrompere dentro al movimento il libero confronto tra le diverse posizioni. Anche per questo invitiamo tutti e tutte a partecipare alla assemblea zoom che organizziamo per martedì 7 ottobre alle 20,45 (si veda la locandina pubblicata in home page).

 

(1 ottobre 2025)

 

 

Note

(1) Fu Tony Blair a preparare insieme a Colin Powell (allora Segretario di Stato Usa) false prove sul presunto possesso di armi di distruzione di massa irakene come giustificazione per l'invasione imperialista dell'Irak.

(2) Brics+, acrostico di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, che identifica il blocco di Paesi amici che, secondo certa sinistra, costituirebbero una alternativa progressista all'«occidente». Il «più» nella sigla fa riferimento agli altri Stati che hanno aderito ufficialmente (Iran, Indonesia, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia) o simpatizzano.

(3) Posizioni di questo tipo si possono leggere nel sito della Rete dei Comunisti www.retedeicomunisti.net/ o sulla rivista online della stessa area https://contropiano.org

(4) La Cina è il principale fornitore commerciale di «Israele» (scalzando gli Stati Uniti dal primo posto): le sue esportazioni sono persino accresciute dopo il 7 ottobre del '23 e hanno sfiorato i 19 miliardi di dollari nel 2024 e già stanno superando questa cifra nel 2025. Tra le altre cose, la Cina rifornisce i sionisti dei droni della cinese Autel Robotics che, armati dall'Idf, vengono usati contro i palestinesi (e contro la Flotilla). L'azienda cinese pubblicizza la «serie Evo Max» dei suoi droni vantando che «può identificare diversi tipi di obiettivi come fonti di calore, persone in movimento o veicoli e ottenere il monitoraggio ad alta quota e la raccolta di dati per le forze dell'ordine».

https://it.autelpilot.eu/pages/autel-evo-max-drone-series

Debitamente armati, questi droni possono poi sganciano sugli obiettivi individuati delle granate.
Altro membro fondatore dei Brics è il Sudafrica, elogiato da tanti a sinistra per aver denunciato «Israele» alla Corte Internazionale di giustizia, in realtà non ha mai interrotto i suoi traffici commerciali con i sionisti solo che, come tutti i governi di centrosinistra, maschera i rapporti con Israele dietro un velo d'ipocrisia. Peraltro il suo presidente è un traditore della lotta dei neri sudafricani: Cyril Ramaphosa, ex dirigente sindacale dei minatori neri, dell'Anc, da presidente nel 2012 fece sparare sui minatori in sciopero nelle miniere di platino di Marikana (34 minatori uccisi dalla polizia).

(5) Vedi l'articolo di Marco Travaglio in data 1 ottobre 2025 su

www.lantidiplomatico.it/dettnews-marco_travaglio__un_piano_nel_buio/39602_62845/

(6) L'articolo citato e altri sono reperibili sul nostro sito sia nella home page che, quelli meno recenti, nella sezione dedicata alla Palestina

https://partitodialternativacomunista.it/politica/internazionale/speciale-palestina

(7) È ad esempio la posizione del Pcr (ex Scr), che parla della creazione di «un fronte unito tra il popolo palestinese e la classe operaia e i settori progressisti (sic) della società israeliana [che] creerà la possibilità di dividere lo Stato israeliano su linee di classe, aprendo la strada a una soluzione duratura e democratica della questione palestinese». (https://rivoluzione.red/basta-ipocrisia-difendere-gaza-la-dichiarazione-della-tmi/
Peraltro questa posizione che allude a uno «scavalcamento» della questione nazionale in nome di una astrazione di socialismo (una posizione estranea al marxismo e apertamente contrastata da Lenin), una posizione che il Pcr porta in piazza perché comunque appare presentabile, si combina con la effettiva posizione di questa corrente che è, se possibile, ancora peggiore ed è stata a più riprese espressa dal suo massimo dirigente e teorico, Alan Woods, il quale non ha esitato ad affermare che «Lo Stato di Israele esiste e non si può far tornare indietro le lancette dell'orologio. Israele è una nazione e non possiamo fare appello alla sua abolizione».(https://rivoluzione.red/il-marxismo-e-la-questione-nazionale/

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